L’amore al condizionale

Ti amerei solo se tu mi amassi e non nel senso veneto del termine.

Ti amerei se non cercassi di srotolarmi i rotoli di grasso dai fianchi, se mi accettassi per le diottrie che mi restano e non per la possibilità di poter correggere con i ilaser il mio miope astigmatismo.

Ti amerei con e senza capelli se solo tu capissi che ho forme che non mi sono scelta, ma alle quali sono affezionata, mio malgrado.

Ti amerei se ti piacessero le macine con il caffè la mattina presto e non ti scazzassi se io puccio le mie macine nella tua tazzina, perché io non mi arrabbio se tu pucci le tue nella tua.

Ti amerei solo se tu fossi imperfetto, non alto, non bello, non ricco secondo i protocolli vigenti emanti dai vari bollettini ansa, ocse, inail e cgl cisl e uil e sopratutto ti amerei se non fossi azzurro, anche se i puffi mi stanno simpatici.

Ti amerei se fossi vero e non calcolatore e se ituoi neuroni non fossero collegati da sinapsi di puro interesse, che tanto lo sai che io non c’ho un € e che a suo tempo non avevo una lira; non c’è speranza che tu possa investire nemmeno in un prossimo futuro, renditene conto.

Ti amerei se tu non fossi succube dei giudizi critici dei tuoi colleghi, dei tuoi amici, delle donne che ti girano attorno compresa la cassiera dell’esselunga, delle aspettative non tue e la smettessi di portarti sei cravatte in ufficio e di cambiarle continuamente, pur di non deludere nessuno.

Ti amerei se non seguissi le mode come si segue la carota e se non ti piegassi al bastone come ci si piega all’ambizione.

Ti amerei se non dovessimo parlare a lungo di niente se non quando parlare significa avere la percezione della necessità di uno sfogo o del piacere di essere una moltitudine di finestre aperte per l’altro.

Ti amerei se non giocassi a valutare reazioni e condizionamenti, se non ti soffermassi a soppesare, a catalogare, classificare. Ti amerei se il nostro fosse un attracco liquido e denso al punto da permetterci di respirare quel che basta per poi reimmergerci in noi e in tal senso ti amerei se tu sapessi nuotare decentemente, per tirarmi su all’occorrenza.

Ti amerei se non fossi troppo simile a me, se mi sapessi guardare da vicino e da lontano, se volessi essere visto davvero sentendoti libero di non fingere. Ti amerei se non sapessi tutto di te, se non sapessi quanto, quando, come, perché e se tu non volessi sapere altrettanto di me prima del tempo; ed il tempo arriva da solo, lo si sa… e poi ci porta via. Non è il caso di mettergli fretta.

Ti amerei se anche tu non volessi entrare nei mondi miei, che nemmeno io conosco bene, perchè è inevitabile poi che qualcuno dei due si perda e non mi so inventare i soccorsi dell’ultimo momento, perché mi mettono ansia.

Ti amerei se tu esistessi… e se così fosse, ti amerei anche se non è detto che tu mi amassi, anche se sarebbe probabile, nel senso veneto del termine. E allora è meglio che io non ti amo, che tu non mi ami e che non esisti. Però l’ipotesi serve a scrivere un post come un altro.

Ma ti amerei comunque, sappilo, anche, e forse sopratutto, se non esisti.

L’amore al condizionale

106 pensieri su “L’amore al condizionale

        1. Più o meno… è come scrivere una storia che non si sa mai come va a finire; nessun limite. 🙂 Non si urta nessuno, non si offende nessuno, non si hanno responsabilità in termini di interazioni, non ci si deve porre continuamente il problema di se stessi in relazione con l’altro insomma, perchè si è altro da se stessi, sono i personaggi a vivere e tu li lasci fare.

            1. NOn so, personalmente non credo di saperne mai abbastanza e in termini di lunghezza, da uno a dieci, io sono certamente fra i primi cinque… cm. Ma apprezzo la sua fiducia sulla lunghezza del mio saperne, Tilla.

  1. bello, sì…
    solo che io…sono così contenta invece che…per me esiste.
    Bello bello…e, certe volte, pure mio!
    (che mi basta, comunque!)
    (il “certe volte” intendevo…)
    ciao, minima!

  2. Bello davvero. Il ritmo è sostenuto ma non incalzante al punto da diventare ansiogeno, l’attenzione è catturata dalle scene di vita quotidiana che si susseguono, proprio una bella cosa, brava. 🙂

    1. Esistono vite senza amore. Esistono; quindi l’amore non è necessario, si sopravvive anche senza, magari si vive di merda, ma si vive. E se un amore fosse senza condizioni, probabilmente non sarebbe reale, perché io non me ne intendo molto, ma da quel che vedo in giro l’ amore senza compromesso, nel reale e concreto vivere penso sia cosa rarissima. E allora tutti gli altri amori che cosa sono? Non sono amore o sono amori che poggiano se stessi sul compromesso, sul condizionale?

      1. L’amore quando accade diventa necessario nel senso che non offre condizioni alternative. Finché non accade convengo con te, non è necessario, si vive anche senza.

            1. Credo Shapparè che tu abbia detto una cosa bella; credo anche che a modo mio io abbia imparato ad amare e anche a lasciarmi amare, ma non nel modo comunemente inteso e non da un soggetto umano come controparte… nel senso che ho imparato ad amare la Bellezza, le cose che mi circondano, l’aria che respiro quando riconosco che è buona e ho imparato ad amare indirettamente l’umano per la bellezza che in rari casi riesce a produrre. E ho imparato a lasciarmi amare da ciò che amo sentendolo anche troppo, a volte. Ho invece qualche seria difficoltà ad amare e a lasciarmi amare nel senso convenzionale del termine, quando cioè si tratta di relazionarmi con un altra persona. Probabilmente ero assente durante le lezioni fondamentali.O forse ero presente durante delle lezioni fatte male.

  3. Ma nell’attesa al condizionale del principe puffo, cioè, dello sbadilatore di macine, il contatore di diottrie, il cravattaro matto, lo sciupafianchi, non sarebbe possibile dilettarsi con un bel presente indicativo tipo: mi sollazzo, mi diverto, io ti piaccio tu mi piaci? Così, giusto per non star sempre a pettinar bambole…

    1. Mia cara, tu hai perfettamente ragione, ma se si ipotizza ci sarà pure un motivo, vero, concreto, reale tanto quanto i tuoi consigli, non pensi? Si può dire mi sollazzo se v’è da sollazzarsi, si può dire mi diverto se vi è da divertirsi, si può dire mi piaci se vi è a chi dirlo… altrimenti si può solo ipotizzare e giusto per non parlar sempre e solo di cinica merda, a volte ci si butta sul romantico andante. Per te questo equivale a pettinar le bambole, per me equivale a scrivere alla leggera. Va così!

      1. Fraintesa fui! Il tuo condizionale non equivale certo al pettinar bambole, giammai! Ho semplicemente trasportato il tuo romantico andante, e andante bene assai, nella vita reale quando, tra un pigro srotolarsi di ore (capita), e uno svogliatismo senza limitismo (capita), in attesa del battito di cuore, ci si intrattiene in allegria, oguno come meglio crede. Il tutto, detto in modalità ironica. Mi spiegai, esimia?

        1. Ti spiegasti, ma ribadisco: anche per l’intrattenersi in allegria ci vuole di che rallegrarsi e negli eremi, anche quelli urbani, è ben difficile che accada, ma a volte succede e allora c’è di che godere… raramente, ma succede. E nel frattempo ci si pone al condizionale, non v’è altro da fare, perché ci si può inventare di tutto, anche la vita, ma quella vera, che accade di suo e realmente, quella ha il gusto che cerco. I surrogati mi sanno tanto di insipido, non so se adesso mi spiegai io.

          1. Ti spiegasti pure tu, dimostrandomi semplicemente che ero andata fuori dal seminato con una facile battuta. Esimia, ciò che dici è sacrosanto, e al condizionale bisogna immaginare il meglio! E la vita vera ti aggredisce, che tu sia in un eremo, sulla luna, sul mio divano…

                1. Il mio divano è di assoluta pertinenza del gatto; lo uso pochissimo e potrebbe anche non esserci se non fosse per il felide compagno. Un divano bastardo dev’essere difficile da gestire… credo che sul blog di Scudiero Jons ci sia un post che parla di un divano non proprio bastardo, ma piuttosto pernicioso…

  4. Quel fatto delle macine mi ha fatto troppo ridere. Mi sono rivisto. Anche se preferisco intingerle nel latte e caffé. Piace intingere anche alla mia figlioletta. Sarà un fatto genetico…

    1. La tua figlioletta intinge nella tua tazza e tu nella sua? Perchè sto gioco è curioso e sì, probabilmente genetico. 🙂 Vi vedo, mi sa che siete belli voi due a colazione.

  5. l’amore declinato al condizionale regala righe bellissime; però è strano, non trovi, che l’amore al condizionale, come una forma in potenza ed eventuale, sia bellissimo.
    la voce al presente del verbo amare, almeno così sento, è persino declinato con aggettivi atroci, quasi perde occasioni, dubita.
    più di un tempo al condizionale.

    forse è strano.

    1. non so se è strano, Rideafa, però so che l’idea dell’amore è amata più dell’amore perchè l’idea fa soffrire meno, come sempre. L’immaginazione può arrivare alla perfezione, la realtà invece fa piegare gli animi. E così la poesia che cerca di andare oltre al sentimento, spesso rende un sentimento che corrisponde all’idea del poeta che ama e ha amato, ma mai veramente al sentimento stesso. NOn sarebbe possibile, perché tutto viene interpretato e reso attraverso il filtro del personale sentire e nel contempo chi ne legge filtra a sua volta e così il sentimento diventa idea, pensiero del sentimento e non è già più se stesso; spesso è qualcos’altro, qualche cosa che piace pensare più di quanto piace viverlo… a volte accade così.

            1. Personalmente ritengo vi siano occasioni nelle quali si possa fare un’eccezione. La morte mi pare possa essere una di queste, a volte. Ma forse parliamo di circostanze e di occasioni diverse…

              1. Il problema è che diamo per scontato sia una circostanza spiacevole. Ma non abbiamo prove al riguardo, è una supposizione. Scegliamo un male sicuro al posto di un male supposto. Non è strano?

                1. NOn è strano; è risaputo che l’uomo (l’umanità) è ottuso e vigliacco. A volte avrei la curiosità di fare il salto, ma c’è questa cosa che si chiama istinto di sopravvivenza che frena la curiosità. Non ci posso fare niente. Se nel mio caso la curiosità non vince, allora non può niente. E poi c’è sto fatto che inevitabilmente verrà soddisfatta, è solo questione di tempo, quindi… non è che scegliamo davvero, davvero; alla fin fine ci tocca. Ma è tipico dell’uomo pensante pensare di avere sempre tutto sotto controllo, compresa la scelta se stare o provare a vedere che c’è, se c’è qualcosa. Personalmente ritengo non ci sia molto, quindi la mia curiosità la controllo piuttosto bene.

                    1. Fa niente… mi distraggo dai vermi vivendo alla leggera e se capita, anche osservando i vermi. L’altro giorno ne ho visto uno che stava aggirando una chiazza di neve ed aveva il dorso che brillava al sole; mi sono chiesta chissà quanta carne morta avrà mangiato per essere così bello ciccio… e chissà quanta terra fertile avrà cagato e a quanti fili d’erba sarà stato utile… e nel frattempo mi gustavo un panino.

                    2. Formaggio di malga e carne salada + un po’ di giardiniera del mio orto. E ho pensato che lui, il verme, mangia carne morta come me, solo che quello che io cago è molto meno utile di quello che caga lui. L’ho sollevato per accorciargli il percorso attorno alla chiazza di neve e l’ho messo sulla terra umida. Onore al verme!! Qui è ottobre e non fa freddo, però è ottobre.

                    3. «Un tempo il paese dove abito, Morena, era considerato una borgata di Roma. Adesso è ‘periferia’. Le periferie sono diventate le sedi dei centri commerciali, un tempo invece erano borgate a se stanti, non c’era bisogno di andare a Roma per lavoro. La mutazione antropologica li ha trasformati in dormitori. Così il proletariato è stato assorbito dalla cultura borghese e la città a suo modo si è ‘borgatizzata’». Risultato? «Si vive nella città come un cliente, non più per incontrare la gente ma per acquistare. Non si va più al bar per parlare con il barista, non ci sono più luoghi dove raccontare, non abbiamo più bisogno di relazioni». Va bene?

                    4. Credevo mi suggerissi un altro pianeta. Spostarsi di qualche chilometro non cambierebbe uguale lo schifo. La merda, pure se la fai in Cina puzza sempre.

                    5. Non è esattamente così: ci sono luoghi che rendono tutto più vivibile, compreso il puzzo della merda. Tanto che anche quella va a far parte del paesaggio, ridimensionata alla sua reale funzione, senza eccedere. Ed è strano, ma tanto più ti allontani dall’umana feccia e tanto meno senti il puzzo di marcio… e di merda.
                      UN altro pianeta è utopico, l’eremo è realizzabile. E se ti piace la Cina, puoi andare in un eremo cinese.

                    6. …io ci sto già, nell’eremo. Mi piacerebbe essere altrettanto attivamente battagliera… un tempo lo ero, ora non più. Ora sto a combattere nelle retrovie.

                    7. E’ molto più complicato cercare di fare in modo che tutti si levino dalle palle; ti ritiri tu in un eremo e ti risolvi un’intera esistenza… più o meno. Io non posso levarmi dalle palle ulteriormente, mi sa… perché mi son già levata. 😦

      1. harleyquinn86 ha detto:

        Mi dispiace non avere titoli per premiare qualcuno che se lo merita. Se può servire, dico un grazie per il senso di liberazione che provo nel leggere le parole che vorrei ma non saprei dire 🙂

    1. Di che responsabilità mi carichi, Germogliare! Potrebbe anche darsi che io abbia dimenticato qualcosa, o che qualcosa andrebbe tolto… spero tu ne tenga conto… dell’assoluta imperfezione, delle mancanze, del non detto e del superfluo insomma. 🙂 (grazie)

      1. Ma quale responsabilità, Stilimia (senza minimo che da te di minimo non v’è traccia)! Tengo conto di ogni particolare detto e non detto, ci si conosce da un po’ di tempo noi, e per questo mi fido del tuo pensiero, quello messo in parole e quello percepito in telepatia. Nel caso trovo qualcuno che mi riempi la scheda di crocette t’invito a cena. 😉 baci

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