Stanchezze

Ero davvero stanca e stufa e tremendamente stanca e stufa. Gli dissi che per come andavano le cose, tanto valeva fare un passo e volare di sotto.

Gli dissi così; lo dissi seria.

Allora lui fece una faccia come per dire: beh, beh, sì, in effetti… e poi con occhio sornione insisteva e mi diceva che potevo anche buttarmi; tanto valeva provare.

E c’era questo burrone e sul fondo il nulla, tanto era profondo.

All’orrizzonte nubi di fuoco pregne di verde e di pioggia pesante si muovevano appena e sullo sfondo, lontano, il mare, o forse un fiume, luccicava di biancore fra i raggi radi e spenti del sole invisibile.

C’ero solo io e lui e la roccia bianca, liscia, traforata dal tempo e dall’acqua, con grandi e piccole spaccature e insenature nere che sprofondavano chissà dove nella terra e chiazze di fuliggine tutt’attorno, come piccole corone nere e polverose.

MI stavano osservando gli occhi neri, piccoli e curiosi delle salamandre e una pioggia fine continuava a cadere con le sue perle minime d’acqua e cadendo si aggrappavano ai fili sottili della lana del mio mantello.

Dovevo buttarmi di sotto, non c’era alternativa, così mi disse. E non dovevo sbattere le ali, mi disse, non dovevo.

E io lo guardavo per capire se mi stava prendendo per il culo. E sì, effettivamente era così, mica ci voleva un genio.

Eppure il burrone dal fondo nero laggiù mi chiamava.

E se mi butto davvero che fai? Gli chiesi.

Lui guardò lontano, poi guardò il fondo del burrone, poi la punta delle sue scarpe… poi di nuovo lontano e poi con la solita faccia ironica disse:

penso che me ne tornerei a casa da solo.

Io annuii. Effettivamente, è così che andrebbe.

Ok, per stavolta non mi butto… dissi.

Pazienza, sarà per la prossima! Stasera cucino io. E mi strizzò l’occhio.

E si voltò incamminandosi verso la macchina. Io guardavo il burrone, poi il riflesso dell’acqua laggiù in fondo e poi cominciò a piovere davvero. Salutai le salamandre, feci un mezzo passo verso il burrone, scivolai e volai, senza ali.

Stanchezze