Una storia vera.

Arrivò in ritardo, come da copione. Altissima, slanciata, bellissima: apparì sulla porta come un’epifania, fasciata in un vestito color rosa antico, semplice nel taglio, elegante, di pura seta. La luce del salone sembrò spegnersi per dirigersi tutta ad incorniciare la sua figura, proprio come nelle entrate in scena delle dive hollywoodiane. Ma questo non era uno spettacolo, era solo la festa di compleanno del Conte Brassaneghi e Lei era la sua fidanzata.

Si fermò giusto un attimo perché tutti potessero girarsi a guardarla; mani dalle lunghe dita affusolate e laccate ad arte appoggiate sui fianchi, il volto perfetto, simmetrico e dolcissimo dai tratti orientali, pelle scura, perfetta, liscia, morbida.

Con la posa da fotomodella alla fine della passerella ed un impercettibile colpo di tacco per alzare lo strascico del vestito, mise in moto un incedere lento e ritmato, un ondeggiamento calcolato e sinuoso che chiamava le spalle, la spina dorsale e soprattutto natiche e fianchi a una danza di movimenti docili e armoniosi di linee che andavano a sfumare nella perfezione della forma.

Il tragitto dalla porta d’ingresso al banco del piccolo bar nell’angolo sembrò durare trecento anni, invece furono soli alcuni secondi, pieni, colmi di grazia, e del movimento delle sue forme. Le donne la osservavano attente cercandovi inconsciamente un difetto che sminuisse i termini di paragone che stavano facendo in automatico con se stesse; niente, non ve n’erano.

Era perfetta: capelli corvini, lucenti e raccolti in un’acconciatura discreta, occhi profondi, scuri, vellutati come la carezza lenta delle sopracciglia che sottolineavano la linea allungata degli occhi ed un corpo che sembrava un connubio armonioso di forme morbide e linee slanciate; “una sorta di figura dal disegno barocco tendente all’armonia gotica”, disse un giorno un amico del Conte, collezionista d’arte.

Gli uomini a trattenere il fiato, muti, con gli occhi fissi, tutti. L’ entrata in scena di Lei aveva creato un fermo temporale, una specie di limbo sospeso nel nulla, una condizione di imbambolamento collettivo al quale tutti i presenti, loro malgrado, erano costretti a sottostare.

La musica per dei brevi attimi sembrò spegnersi, ma fu solo una sensazione dei presenti; il sottofondo jazz continuava ad accarezzare le anime ipnotizzate mentre tutte le energie di quei corpi si concentravano in un unico punto focale.

Lei si avvicinò lenta e lieve come un soffio al banco del bar, appoggiò con grazia un gomito sul ripiano, mise il dorso della mano sotto il mento, così, come a sfiorarlo appena, fingendo di sostenere in tal modo il peso del capo. Pareva un copione studiato talmente bene che tutto sembrava assolutamente spontaneo e trattandosi di Lei, certamente lo era.

I suoi occhi di velluto fissarono il ragazzo con il gilet azzurro e la camicia bianca inchiodato dietro al bancone. Lui deglutì e un rossore imbarazzato gli comparve prima sul collo e poi gli salì sotto pelle fino a coprirgli tutto il volto, fino alla radice degli ispidi capelli biondi, tagliati corti, alla marines.

“Una birra media!” disse Lei.

Silenzio… il ragazzo si mosse appena un po’, poi rimase immobile di nuovo con gli occhi azzurri sbarrati, come se non avesse capito bene. E infatti non aveva capito bene.

Lei lo guardò ed il sopracciglio destro si inarcò impercettibilmente, come a sottolineare un moto di disappunto, appena visibile e celato con cura. Lui la fissava, sudando un po’.

“Sei sordo, mozzo? Ti ho chiesto una birra media, cazzo!”

La voce roca, tipica di chi si fuma quaranta sigarette al giorno e magari qualche sigaro di contorno, il tono di chi non ammette mezze misure, né tanto meno un ritardo quando chiede una birra media.

Chi non conoscendola udì la sua voce per la prima volta fu preso da un momento di sconcerto, come quando si ascolta un pezzo di Bach e qualcuno nell’orchestra sbaglia una nota rendendo il suono per brevi secondi poco armonioso. Ma fu solo un attimo, poi tutti tornarono a guardare Lei, l’eleganza, la raffinatezza, l’armonia e gli sguardi adoranti si addolcirono di nuovo.

Il ragazzo si riprese di scatto e si mosse verso i bicchieri delle birre.

“E cerca di spinarla bene!”

Questa volta il suono quasi gutturale della sua voce fu chiaro, udito da tutti e inspiegabilmente qualcuno ebbe un brivido lungo la schiena.

“Sì signora!”

Il ragazzo spinò e posò la birra sul bancone, di fronte a Lei; i suoi occhi la guardarono ansiosi. Un’espressione compiaciuta si disegnò sul volto di Lei mentre gli occhi neri si posarono sul bicchiere di birra fresca. L’approvazione sul volto evidente come un plenilunio in una notte serena.

Allungò la mano affusolata, prese la birra e se la portò alle labbra morbide. Bevve mezzo bicchiere in poche, lunghe sorsate e tutti osservarono il suo collo lungo, bronzeo, sottile entro il quale il liquido stava scorrendo, mentre il bicchiere si stava svuotando ad una velocità che aveva dell’incredibile! C’era in lei qualche cosa di profondamente biasimabile, di inquietante in ogni suo gesto, anche nel modo in cui beveva, ma non si sarebbe potuto dire di che cosa esattamente si trattasse.

Un mormorìo si levò dalla sala e si sentì qualcuno sgnignazzare.

Lei appoggiò il bicchiere lentamente, sospirando rumorosamente; si girò appena e con la coda dell’occhio si fece un’idea della situazione alle sue spalle, come se prima non ne avesse avuto modo, o voglia, o tempo. Poi si volse di nuovo verso il ragazzo dietro al bancone e le scappò un rutto trattenuto, che però chiunque potè udire, o notare dal sollevamento improvviso delle spalle nude. Il mormorìo si spense di colpo.

“Grazie bel ragazzo! Avevo una sete boia! Che si dice in questo bordello, eh? Come ti pare che sia la festa? A me sembran tutti un po’ sullo smorto andante, che ne dici? Se non fosse che mi devo guadagnare da vivere, col cazzo che ci venivo. Ma il mio ragazzo ha tanto insistito! Queste scarpe mi stanno uccidendo!”

Il ragazzo rispose pronto, questa volta, spinto da un istinto che gli diceva che con questa Signora non era il caso di essere poco solerti e attenti.

“A me pare sia una bella festa, Signora. Il Signor Conte ha fatto in modo che  fosse organizzata proprio bene!”

Lei lo guardò di sottecchi un po’ perplessa, mentre riprese in mano il bicchiere e lo svuotò in altre tre, lunghe sorsate. Poi si sedette su uno sgabello di fronte al bancone con un movimento agile, accavallando le gambe sotto il lungo vestito. Ogni suo movimento in qualche modo attirava l’attenzione.

Appoggiò entrambi gli avambracci sul ripiano del bancone drizzando la schiena. Poi guardò dritta davanti a sè verso gli specchi del bar, come se stesse pensando a qualcosa di molto lontano, di molto profondo.

Sembrò molto concentrata e infine… ruttò sonoramente, emettendo un suono gutturale dalla risonanza potente, scaturita con tutta la forza che l’ampiezza della sua cassa toracica le permise. Poi sorrise compiaciuta, con un sorriso splendido come non se ne sono mai visti; limpido, dolcissimo, indirizzato al ragazzo del bar, solo a lui.

Il ragazzo non resistè e sorrise a sua volta. Alle spalle di Lei gli sguardi indignati e offesi delle signore e di alcuni signori, il mormorìo sempre meno sommesso e la musica che continuava a sottolineare i moti emotivi di quall’assembramento umano.

Fu in quel preciso momento che il ragazzo del bar e altri presenti si innamorarono di lei. Perdutamente, irrimediabilmente l’amore si prese le loro anime e non le lasciò più per molto, molto tempo.

Entrò il Conte, ma nessuno se ne avvide finché non le fu vicino; le prese una mano e la baciò, poi le posò un bacio sul collo e Lei si ritrasse un po’, dicendogli che no, che così avrebbe attirato l’attenzione, che non stava bene. Lui la guardò comprensivo, sorridendo ironico e annuì.

Quella sera dopo la quinta birra media Lei cantò e fu meravigliosa come non mai.

 

Una storia vera.